’L’assemblea è valida, ora serve un presidente’ a quanto pare è una delle frasi più temute dai condòmini. Proviamo a capire perché e se vi è motivo di temerla
Solitamente le assemblee di condominio vengono scandite dal susseguirsi di scene e tempi che si ripetono puntualmente ogni volta. I condomini si aggregano entrando in sala, secondo gli schieramenti o le amicizie di turno; si inizia a creare un chiacchiericcio sempre più forte man mano che arriva qualcuno e l’amministratore – seduto al tavolo – inizia a sudare conteggiando presenti, deleghe e millesimi; ogni tanto qualcuno da dietro urla frasi del tipo “ci siamo?” o “come stiamo messi a millesimi?”; alla fine, quando è stato finalmente raggiunto il quorum costitutivo, l’amministratore alza la testa dal foglio firme, si guarda in giro e pronuncia la fatidica frase: “l’assemblea è valida, ora serve un presidente”.
A quel punto di solito cala il gelo, un silenzio profondo sommerge la sala riunioni e tutti iniziano a chinare il capo, guardare in giro in modo vago ed indefinito, fingere di allacciarsi le scarpe o di cercare qualcosa in borsa. Dopo un po’ iniziano le frasi di circostanza “lo faccia lei, avvocato”, “ci mancherebbe ingegnere”, fino ad arrivare alla solita proposta “propongo lo faccia il padrone di casa che gentilmente ci ha ospitato”. Alla fine, ob torto collo, qualcuno si assume l’ingrato compito e l’assemblea può finalmente iniziare.
Ma perché questa ritrosia ad essere il presidente dell’assemblea di condominio? Quali mali e responsabilità colgono lo sventurato condomino? Per chiarire la questione è bene inquadrare la figura del Presidente di Assemblea di Condominio.
L’articolo 67 delle disposizioni di attuazione del codice civile era l’unico che espressamente nominava la figura del presidente di assemblea in ambito condominiale e lo faceva incaricandolo di dirimere le questioni che potevano insorgere tra i comproprietari di un’unità immobiliare che non si erano preventivamente accordati su chi di loro dovesse rappresentarli in seno all’assemblea. Il presidente aveva quindi il compito di estrarre a sorte il loro rappresentante.
Questo è tutto quello che la norma diceva sul presidente dell’assemblea. Ed il tempo passato è d’obbligo, perché la riforma del 2012 ha modificato l’articolo 67 eliminando questo riferimento, per cui, ad oggi, il Presidente dell’Assemblea dei Condomini non esiste nel codice civile. Tuttavia la figura esiste e non è frutto di allucinazione collettiva; la ritroviamo in molti regolamenti di condominio ed anche la giurisprudenza ha dato il suo grande contributo per definirne i compiti.
A tal proposito è molto importante una nota pronuncia della Suprema Corte che ha affermato:
“In tema di assemblea condominiale, la funzione del presidente dell’assemblea è quella di garantire l’ordinato svolgimento della riunione e, a tal fine, egli ha il potere di dirigere la discussione, assicurando, da un lato, la possibilità a tutti i partecipanti di esprimere, nel corso del dibattito, la loro opinione sugli argomenti indicati nell’avviso di convocazione e curando, dall’altro, che gli interventi siano contenuti entro i limiti ragionevoli.
Ne consegue che il presidente, pur in mancanza di una espressa disposizione del regolamento condominiale che lo abiliti in tal senso, può stabilire la durata di ciascun intervento (nella specie, dieci minuti), purché la relativa misura sia tale da assicurare ad ogni condomino la possibilità di esprimere le proprie ragioni su tutti i punti della discussione” (Cass. 24132/2009).
In buona sostanza il presidente è il moderatore dell’assemblea, colui che cerca di portare concretezza agli interventi, che cerca di tagliare sterili polemiche da bar ed indirizza la discussione verso un dibattito costruttivo. Ha poi il compito di dettare il verbale al segretario – mero esecutore – nel quale saranno cristallizzate le delibere dell’assemblea.
Circa il verbale, merita sottolineare un’ordinanza della Suprema Corte dello scorso mese di settembre, in cui si afferma:
“Il verbale di un’assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, ha natura di scrittura privata, sicché il valore di prova legale è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura medesima, per impugnare la cui veridicità non occorre la proposizione di querela di falso, potendosi far ricorso ad ogni mezzo di prova” (Cass. Ord. 11375/2017).
Il Presidente dell’Assemblea non acquisisce pertanto la qualifica di Pubblico Ufficiale firmando il verbale dell’assemblea, né diventa indiscutibile quanto da lui sottoscritto. L’effetto è quello di dare una presunzione di veridicità a quanto contenuto nel verbale, e dunque invertire l’onere probatorio ponendolo a carico di chi, in sede di impugnazione delle delibere, assuma che i fatti si siano svolti in modo differente.
In fin dei conti, il terrore dei condomini per assumere la carica di presidente è assolutamente ingiustificata… o forse è dovuto al fatto che il presidente, dovendo firmare il verbale, deve rimanere fino alla fine dell’assemblea?